Archeologia del territorio

Licata ha alle spalle una tradizione antichissima che inizia nel lontano periodo Neolitico, circa 7000 anni fa, e che continua con le diverse culture dell’Età del Rame e del Bronzo, quest’ultima particolarmente attestata nel territorio per la presenza di migliaia di tombe a grotticella artificiale scavate sulle pareti di roccia calcarea.

Già nella tarda età del bronzo, il sito dell’odierna Licata fu abbandonato dalle comunità indigene che vi risiedevano, probabilmente a causa dell’eccessiva pericolosità della costa licatese, soggetta a continue scorrerie da parte di popoli proveniente dal mare.

La mancanza di testimonianze archeologiche dalla fine dell’età del Bronzo all’età del Ferro, può essere letta anche in relazione all’insorgere di epidemie o gravi cataclismi, contemporaneamente alle continue alluvioni e alla formazione di paludi, che resero l’intera area malsana e improduttiva.

 

 

Il territorio di Licata tornerà ad essere occupato nel VII secolo a.C., in concomitanza con la prima ondata di colonizzazione greca. Le tracce riferibili a questo preciso periodo storico sono emerse in contrada Caduta di Mollarella, ma si tratta di frammenti sporadici e rinvenuti fuori contesto.

Una frequentazione stabile del luogo si avrà solo a partire dal VI secolo a.C., come testimoniano il santuario e la necropoli greca-arcaica della Poliscia, il santuario di contrada Casalicchio, la necropoli di Portella di Corso e numerosi altri siti sconosciuti alla letteratura archeologica, che i soci della Finziade stanno censendo tra le campagne licatesi.

 

 

Il IV secolo a.C. rappresenta un periodo di prosperità per le campagne licatesi: una recente indagine condotta dall'Università di Siena ha infatti accertato l'esistenza di piccoli villaggi rurali, dediti prevalentemente all'agricoltura vitivinicola. Circa 15 palmenti, infatti, sono stati ritrovati sulle colline licatesi, spesso in connessione con unità abitative rurali e collocati nei pressi di centri fortificati.

Nel III secolo a.C., Phintia, tiranno di Akragas, decise di edificare una nuova polis presso il mare, trasferendo in essa tutti gli abitanti delle distrutta Gela. Sui resti di un nucleo rurale del colle Sant'Angelo fu fondata l'acropoli della nuova città che dal tiranno prese il nome: si chiamò Phintiade e visse per circa 300 anni prima di essere definitivamente abbandonata.

Nel 2012 uno scavo archeologico realizzato in proprietà privata (nel fondo della famiglia Zirafi), ai piedi della Chiesa Rupestre di San Calogero, mise in luce una necropoli con tombe ad inumazione in grotta risalente al V-VI secolo d.C., e permise di documentare per la prima volta la presenza certa di un nucleo altomedievale in città.

Si trattava sicuramente di una comunità monastica che era sorta nei pressi della Chiesa di Santamaria La Vetere, antico duomo di Licata, fondata secondo la tradizione nel 580 a.C. dalla Beata Slivia, madre di papa Gregorio Magno.

Sicuramente alla stessa epoca altomedievale si deve la costruzione del Castrum Limpiados (Castel San Giacomo) conteso secondo la storiografia antica tra bizantini e arabi, che purtroppo non è arrivato fino a noi a causa dell’ignoranza del governo licatese che, alla fine del XIX secolo, ne ordinò la completa demolizione delle mura pericolanti.

 

 

Dai primi decenni del XII secolo, la borgata si era dotata di una cinta muraria che consentiva l’accesso esclusivamente da cinque porte.

Nel Basso Medioevo gli abitanti di Licata abbandonarono le pendici orientali del colle Sant’Angelo per insediarsi presso l’attuale quartiere "marina", espansosi attorno alle tre arterie principali: via Sant’Andrea, l’antico "Cassaro", e le sue due principali intersezioni, via Martinez e via Donna Agnese, che costituiscono "i quattro canti della città".

L’importanza che Licata rivestì nel Medioevo, soprattutto grazie all’antichità del suo emporio frumentario e alla centralità del suo porto, la ricaviamo dagli atti del periodo normanno quando, nel 1234, fu insignita, dall’imperatore Federico II di Svevia, dell'onorificenza di "Dilectissima" e riconosciuta quale "Città Demaniale", cioè sottomessa alla sola giurisdizione della Corona ed esentata dalle imposizioni baronali.

Circa un secolo dopo era ancora uno dei centri più fiorenti di tutta la costa meridionalegrazie all'esportazione di cereali, infatti nel 1398 si decise di mantenere Licata tra le città demaniali e nel 1447, durante il regno di Alfanso I d'Aragona, ricevette il titolo di "Fidelissima".

Un evento particolarmente drammatico fu il sacco e la distruzione del 1553, opera dei turchi-ottomani, alleati dei francesi, a loro volta in guerra contro la Spagna. In seguito a tali vicissitudini, alla fine del Cinquecento, fu ricostruita la cortina muraria, ma la città cominciò ad espandersi anche fuori le mura grazie anche ad una immigrazione di cittadini maltesi, approdati qui per mettersi in salvo dalle continue aggressioni della flotta turca.

La colonia maltese, incrementatasi ulteriormente per una nuova immigrazione avvenuta nel 1645, diede origine al primo borgo extra moenia di Licata, l'attuale quartiere di San Paolo.

Nel XIX secolo i governanti della città decisero di abbattere le mura del più antico centro storico licatese per unificare i tanti borghi che, nel corso dei secoli, erano sorti in varie zone dell’abitato.

Nonostante l’incuria del tempo e dei nostri antenati, colpevoli di aver assistito impassibili ad una sequenza di demolizioni che hanno spogliato il borgo "Marina" di una parte del prestigio guadagnatosi durante il Medioevo, ancora oggi, vagando per le tortuose viuzze e i numerosi cortili, è possibile ascoltare echi di voci passate che non vogliono abbandonare questi luoghi incantati, meta di antichi regnanti, mercanti, viaggiatori e sognatori.